Racconti brevi


VIA DE CORONARI

Ho deciso di ascoltare il silenzio di questa serata e, mani in tasca e cappello di lana in testa, mi avvio in questa particolare stradina di Roma, detta via De Coronari.

Un tempo i "coronari" erano in pratica coloro che per mestiere fabbricavano cornici (le “corone”, appunto); con il passare del tempo, il loro lavoro si è talmente integrato con l'arte in generale che oggi, a osservare quello che espongono nelle loro confuse vetrine che si affacciano in questo vicolo, è diventato sinonimo di mercante di antiquariato.

La sera, che è appena calata su Roma, è freddina: ad ogni mio “sospirato” respiro una piccola nuvola di vapore compare per un istante sul mio viso, lasciando una effimera traccia sui vetri dei miei occhiali.

Qua e là osservo dunque le vetrine di questi particolari negozi, piene di belle cose antiche e affascinanti, fermandomi di fronte ad esse per cercare di attingere un poco di quella poesia e di quel mistero che taluni di questi oggetti esposti emanano sintonizzati sulla mia immaginazione.

Cerco di catturare in me le sensazioni che queste cose materiali impongono -loro malgrado - alla mia immaginazione, ma non vi riesco: una sensazione di nulla interiore, che da qualche tempo mi attanaglia, non permette a queste sensazioni di iniettarmi alcuna larva che possa trasformarsi, dentro il mio essere, in una farfalla variopinta.

Man mano che cammino mi rendo conto di possedere solo il silenzio, il mio e il tuo, incapsulati in questa immanente serata.

Siamo figli di un’eclissi lunare straordinariamente centenaria, che ci ha lasciati attoniti; mi faccio guidare da questo tuo silenzio e man mano che procedo nel cammino e osservo ciò che mi sta intorno, perdo contestualmente la tua immagine dentro di me.

Il verso di un corvo accompagna da qualche minuto le piccole soste che faccio ogni tanto e spero che dentro di me un’idea romantica, nata da un qualsiasi oggetto in esposizione in questi negozi, buchi la corazza di vuoto che adesso porto dentro, giusto per fargli un po’ di compagnia.

In questo vicolo che sembra aspettare - con il suo respiro di cose antiche- che il tempo ritorni indietro per dare un significato a quelle cose, i miei passi sono pressoché solitari.

Ogni tanto incrocio qualche gruppo di persone: noto che ognuno ha qualcosa da dire, qualcosa su cui confrontarsi; vedo la gioia dello stare insieme, la gioia dell'essersi incontrati - forse in una sera in cui le cose non avevano nulla da dire e le eclissi lunari erano ormai passate senza lasciare traccia - ed io, seguendo i passi del tuo silenzio, ti ho incontrata senza saperlo in una traversa di questa via De Coronari, in un negozio nascosto e poco illuminato, sulla cui insegna c’è scritto “Cuore”.


Vincenzo Mercolino, 24 Giugno 2004 (e modificazioni successive)




IL FANTASMA DI CASTEL S.ANGELO

Sto percorrendo a piedi la banchina destra del Tevere, quella che si dirige verso il castello. In questa notte tersa mi affaccio verso le acque per carpire i riflessi illuminati di quel “palazzaccio”.

Il vento spinge nello spiazzo largo delle foglie secche; guardo il cielo, e all'improvviso cinque gabbiani si levano alti dalla torre di Castel S. Angelo, qui a Roma. I loro versi sono imponenti e improvvisi, quasi un segnale per l’appuntamento notturno con il fantasma di Beatrice.

Sotto gli alberi lungo il vicino tratto del Tevere devo accelerare il mio passo: tra le loro fronde centinaia di passeri cinguettano forte per accaparrarsi il cibo (a quest'ora ?!). La mezzanotte è passata e un freddo pungente, figlio di un altrettanto freddo cielo sereno, mi accoglie dinanzi all'entrata principale: la osservo bene e verso una delle finestre vedo delle luci balenanti. Un vortice di vento improvviso si forma e sembra seguirmi mentre mi sposto lungo il perimetro di questa roccaforte.

Come di consueto da qualche notte a questa parte, mi dirigo sul ponte di fronte il castello. Devo raggiungere l'altra sponda in fretta e mettermi al centro: è mezzanotte e trenta e potrei aver fatto tardi.

Di colpo una sottile brezza di vento mi sfiora le labbra infreddolite e nel medesimo istante, da una fontana lì nei pressi improvvisamente esce dell'acqua.

Mi avvicino e ne approfitto per bere ma un fruscio di foglie secche alle mie spalle cattura la mia attenzione: mi giro e scorgo una donna vestita di nero, con abito lungo, che mi passa accanto e si volta verso di me; in realtà, CREDO che lo faccia poiché non distinguo né i suoi occhi né la sua bocca. E di nuovo sento una sottile brezza attraversare il mio volto. Mi sento come derubato di qualcosa, mentre osservo quella donna passare sul quelle foglie secche che adesso gli girano intorno, vorticosamente, facendola sparire come d'incanto dalla mia vista.

Stavolta l'appuntamento sembra essere stato mantenuto.
Dunque è vero: i fantasmi non rubano se non un attimo di vita che li possa mantenere ancora qui fra noi, per il tempo necessario.

Vincenzo Mercolino, 30 Gennaio 2004 (e modifiche successive)